Una canzone che tratta il delicato tema della disoccupazione giovanile attraverso un sound scanzonato che vuole quasi infondere un senso di speranza e di reattività agli ostacoli.
Il pezzo di lancio di Igor Lampis racconta lo sconforto dei giovani che dopo anni di studio, di impegno, di fatica, restano con un pugno di mosche in mano. Non trovano lavoro, non hanno la forza per reagire, sperano in un aiuto esterno che mai arriverà. Sono consapevoli di avere le capacità per intraprendere qualsiasi attività ma si trovano isolati e persi. Passano le giornate inviando curriculum e partecipando a inutili colloqui in cui la maggior parte delle volte vengono liquidati con un semplice “le faremo sapere”. Non c’è speranza per i giovani in uno Stato che non li tutela.
L’intento della musica è quello di stemperare l’atmosfera di sconforto del giovane disoccupato. L’arrangiamento risulta in qualche modo allegro, quasi come una canzone estiva degli anni sessanta. La chiusura del pezzo è lasciata a un lungo assolo di sintetizzatore che per qualche attimo fa dimenticare le peripezie del giovane in cerca di lavoro, ma appena il pezzo si chiude subito la mente torna alle sue sventure in cui molti si ritrovano.
L’album “Nuovo Cantacronache n°4” è il disco d’esordio da solista di Igor Lampis (membro del gruppo “Nuovo Cantacronache” che si propone, come già in passato faceva il gruppo dei Cantacronache storici torinesi, di “evadere
dall’evasione”). L’artista raccoglie il testimone del rigore programmatico, del taglio narrativo, della versificazione incalzante in rima baciata, dell’osservazione acuta che si fa invettiva, tra sberleffo e dramma, declinando il tutto con un’attitudine punk che schiaffeggia in maniera provocatoria il bel canto, le buone maniere e qualsiasi deriva estetizzante per dire con schiettezza vino al vino e pane al pane. Lampis narra con il piglio del cantastorie l’epopea sommersa della gente comune, quella che se la passa male, quella che si arrangia di lavoro in lavoro, vessata dall’opprimente assenza dello Stato.
La sua è la voce del guastafeste che canta fuori dal coro: la voce di chi rifiuta l’omologazione, di chi sceglie traiettorie sghembe, di chi conosce la dolente bellezza dei margini, ben sapendo che “dai diamanti non nasce niente”. Una voce che dice la verità.